Sogni d’amore e di magia…

„Tra due grandi tini, davanti alla porta, una bella fanciulla filava, in abito bianco, come tessuto di raggi di luce e ombra. Grosse trecce dorate le ricadevano sulle spalle, e una corona di mughetti le cingeva la fronte liscia. Illuminata dai raggi della luna, ella sembrava sommersa in un’ atmosfera d’oro. Le sue ditta bianche come cera giravano un fuso d’oro e dalla sua conocchia d’argento usciva un filo così delicato e fine che poteva scambiarsi per un raggio di luna.

Al passo leggero dell’uomo la filatrice alzo gli occhi, celesti come l’acqua dei laghi.

<<Benvenuto Fat-Frumos,>> disse, con un tenero sorriso. <<Da molto tempo tu compari nei miei sogni! Mentre le mie mani filano col fuso, i miei pensieri filano il sogno di te. Volevo tesserti un vestito ordito d’incanti e sortilegi perché tu, portandolo, pensassi a me e mi amassi del più tenero amore. Lasciami tessere  col filo una tunica, e con i miei giorni una vita di tenerezza.>>

Cosi, mentre lo guardava, il fuso le scivolò di mano e la canocchia le cadde per terra. Si alzo, tutta confusa per quello che aveva detto, con le braccia abbandonate e gli occhi bassi.

Fat-Frumos si avvicinò e, in un dolce abbraccio, le mormorò all’orecchio:

<<Cara, cara…Come sei bella. Chi sei?>> ”

Mihai Eminescu – „Fat-Frumos nato da una lacrima”  (dal volume ” Mihai Eminescu- La mia ombra e altri racconti”, Biblioteca Universale Rizzoli, 2000, traduzione di Monica Farnetti e Marin Mincu)

MIHAI EMINESCU – Biografia

Una biografia di Mihai Eminescu (in italiano) trovate qui

A questa vorrei aggiungere due cose:

1 All’ Università di Vienna, Eminescu ha seguito anche  corsi di matematica, fisica, medicina, filologia romanza, storia antica,economia politica e il  sanscrito.

2 Un frammento (dal volume „Mihai Eminescu- La mia ombra e altri racconti”-Biblioteca Universale Rizzoli, 2000 ) :

„…Eminescu è infatti il primo poeta europeo a risalire alle fonti delle upanišad e delle Rg-Veda, e contemporaneamente ad aderire al pessimismo filosofico di Schopenhauer compiendo una sintesi originale tra Oriente e Occidente: collocazione culturale che verrà confermata in seguito dall’opera del teorico romeno Mircea Eliade. All’interno del discorso poetico emineschiano, inoltre, è da sottolineare un voluttuoso desiderio di morte, specifico della mitologia mioritica romena e quindi terreno fertile e propizio allo sviluppo degli influssi schopenhaueriani: il daco di Eminescu, attante lirico e istanza fondamentale della sua opera, invoca la morte come liberazione assoluta e possibilità di integrazione nella serenità cosmica” – Marin Mincu „Notizia biografica”

MIHAI EMINESCU (3)

IL POVERO DIONISIO


„La luna si nascose dietro una nube nera, che fu sventrata, per ben due volte, da fulmini rossastri; la casa fu inghiottita dal buio: non si scorgevano più né l’ombra del ritratto, né quella di Dionisio. Accese una candela. La sua povertà, illuminata da una candela di sego infilata nel collo di una bottiglia, era ancora più desolante. Qui trascorreva ogni inverno e ogni estate. D’inverno, le travi della stanza, i legni e le pietre scricchiolavano sotto il peso del gelo terribile; i latrati del vento scuotevano cancelli e rami stremati dalla neve. Avrebbe voluto soltanto dormire e sognare, ma il freddo gelava le sue palpebre e gli annebbiava la vista. La sua giubba era più ordito che tessuto, logorata ai bordi, lisa ai gomiti, talmente mal ridotta che anche il vento sembrava prendersi gioco di lui. Le persone lo deridevano, vedendolo… in simili istanti, nelle lunghe fredde notti d’inverno, all’apice di una povertà estrema, non poteva che farsi soffocare dalla tristezza. Questo era il suo  naturale  modo di esistere: il suo cervello era completamente occupato da un mondo di immagini bizzarre e impossibili. I suoi pensieri, spesso, si traducevano in ritmi, in parole rimate; allora non poteva resistere all’attrazione della carta: doveva scrivere… la bottiglia vuota gli ispirava pensieri pieni di melanconia….

La bottiglia serve ormai come candeliere,

La candela arde e si consuma,

Questa miseria infervora l’animo – canta, o bardo,

Non ho più veduto soldi da un secolo, non ho più bevuto vino da un mese!

Un regno per una sigaretta, per colmare di chimere

Queste nubi nevose! … Ma da dove? La finestra cigola nel vento,

In soffita miagolano i gatti – i tacchini, dalla cresta livida,

Meditano, con passi melanconici, nel cortile.

Ho freddo…riesco a vedere il mio alito.

Ho calato sino alle orecchie il mio beretto di pelliccia e non mi curo dei gomiti lisi.

Anzi, grazie ad essi, cerco di capire se il clima diventa più mite

Esattamente come fa lo zingaro, che infila un ditto nel rado graticcio della capanna.

Se fossi un topo, Signore, avrei un manto di pelliccia; Mangerei i  miei libri – non mi lamenterei affatto del gelo…

Un boccone d’Omero mi parebbe superbo e dolce.

Per dimora avrei un buco nel muro, un’ icona per moglie.

Le cimici pullulano nelle pareti polverose, nel soffitto

Pieno di lunghe ragnatelle: sono cosi care, a guardarsi!

Abbandonano, gravemente, il mio letto di paglia e la mia pelle,

Poiché non trovano di che sostentarsi.

Sono uscite a passeggiare, formando un corteo lungo più di un metro – che amabile processione!

La più vecchia sembra riverente, nell’incedere;

Quell’altra è una lesta paladina… Che conosca il francese?

Quella che raduna attorno a se una folla è una romantica fanciulla.

Ho freddo. Scorgo, sulla mano, una pulce nera;

Potrei inumidirmi le ditta e prenderla… ma perché dovrei farlo!?

Se si fosse annidata nel corpo di qualche signora, certo, avrebbe

Corso dei rischi… ma a me non interessa.

Perché dovrei sfrattarla?

Il gatto, scettico com’è, fa le fusa vicino al camino.

Avvicinati per parlare con me, mio unico amico – unico rapporto che ho col tempo.

Se al mondo esistesse uno stato di gatte, ti farei governatore,

Per far conoscere anche a te cosa significa essere nobili.

Vorrei sapere cosa pensa mentre fa le fusa, astutamente raggomitolato…

Chissà quali dolci idee albergano nelle sue fantasie di gatto…

È forse attratto da una dama dal bianco mantello che lo attende nella rimessa o in un angolo della soffita?

Credo che rimarrei poeta anche se al mondo esistessero solo gatte.

Miagolerei odi solenni, mi lamenterei tragicamente – come Garrik;

Di giorno steso al sole – attento alle code dei topi;

Di notte in soffita, sotto la loggia o le grondaie, adulando soavemente la luna.

Se fossi filosofo, la mia sensibilità subirebbe delle limitazioni;

Difenderei i miei ideali in lezioni popolari –

E, ai giovani generosi, alle ragazze sfuggenti

Mostrererei che il mondo non è che sogno – un

sogno di gatti.

Se fossi un sacerdote, nel tempio dedicato all’Essere

Che a sua immagine e somiglianza a creato la stirpe dei gatti,

Griderei: guai all’anima vostra,gatti, se non rispettate il grande digiuno.

Tra voi c’è chi non crede alle tavole della legge, all’Essere, al di sopra

Dell’essere, alla Mente al di sopra della mente – che dà impulso al vostro destino?

Atei, che non siete altro! – non temete l’inferno e i suoi spiriti – i pipistrelli?

Anatema sit! – Che ogni gatto per bene vi sputi in faccia!

Non vedete quale saggezza si racchiude nella vostra chiara figura?

Gatti senza cuore! Non vedete che Egli vi ha dato artigli per graffiare

E mustacchi per fare le fusa. Vorreste, forse, sfiorarlo con la zampa?

La candela si sta ormai spegnendo.

Vai a dormire, vecchio mio, si è fatto buio.

Cerchiamo di sognare grazie e mondi dorati – tu nel tuo angolo, io nel mio letto.

Potessi almeno dormire – Sonno, ristoro del pensiero, cullami, con la tua silente armonia.

Vienni sonno! – vieni morte! Per me non cambia nulla

Se ancora potrò consumare il tempo con i gatti, le pulci e la luna.

Oppure no – cosa importa? – La Poesia – Miseria! „


Tratto dal volume „Mihai Eminescu – La mia ombra e altri racconti” – Biblioteca Universale Rizzoli 2000, traduzione di Silvia Mattesini

Multumiri lui Andrei Pavel”SfinxMagnum” pentru fractali!

Grazie Andrei Pavel „SfinxMagnum” per le immagini! 🙂

MIHAI EMINESCU (2)

IL POVERO DIONISIO


„…È sempre così…quando guardo la mia mano con un occhio solo, essa diventa più piccola. Se avessi tre occhi la vedrei più grande e, quanti più occhi avessi, tanto più grandi apparirebbero le cose d’attorno.

Se fossi nato con mille occhi, in mezzo ad immagini enormi, le stesse cose non mi parrebbero né più grandi, né più piccole di adesso – ammesso che esse, rapportate a me, conservassero le medesime proporzioni.

Immaginiamo il mondo ridotto alle dimensioni di un proiettile – e tutte le cose, per analogia, ridimensionate: i suoi abitanti, presupponendoli dotati dei nostri stessi organi, percepirebbero tutto esattamente nello stesso modo e nelle nostre medesime proporzioni.

Immaginiamo adesso che esso sia, caeteris paribus, mille volte più grande; mantenendo invariate le proporzioni – un mondo grandissimo e un altro piccolissimo – per noi sarebbe esattamente lo stesso. Le cose che vediamo con un occhio risultano più piccole, più grandi se guardate con entrambi…ma allora,qual è la loro grandezza assoluta?

Probabilmente viviamo in un mondo microscopico che soltanto la struttura dei nostri occhi mostra così come appare… chissà che ogni uomo non veda e non senta le cose in modo differente e che non sia soltanto la lingua ad accomunare le cose e a unirle nella comprensione.

La lingua? No. Forse ogni parola suona diversamente nelle orecchie di uomini differenti – soltanto l’individuo, rimanendo lo stesso, la ode sempre nello stesso modo.

In uno spazio immaginato senza limiti, un suo frammento – per quanto grande o piccolo – in rapporto all’infinito sarebbe soltanto un’ inezia. Analogamente, nell’immensità dell’eterno, ogni frammento di tempo non sarebbe che un istante sospeso. Ed ecco come. Presupponendo il mondo ridotto a una goccia di rugiada e i rapporti di tempo a una stilla del tempo, i secoli, nella storia di questo mondo microscopico, non sarebbero che istanti, nei quali gli uomini agirebbero e penserebbero come adesso e le epoche risulterebbero, per loro, lunghe quante le nostre. I millioni di infusori degli studiosi, si perderebbero in un microscopico infinito e un attimo di gioia svanirebbe, similmente, nell’ infinito del tempo – e tutto sarebbe com’è adesso.

…In verità, il mondo non è che un sogno della nostra anima. Non esistono né tempo, né spazio – essi sono soltanto in noi. Il passato e il futuro sono nell’ animo mio come il bosco è in un seme di ghianda e l’infinito, similmente, dimora in una lacrima di rugiada che riflette il cielo stellato. Se ci fosse consentito comprendere il mistero in grado di legarci a questi due ordini di realtà – in noi celati – mistero probabilmente noto ai maghi egizi e assiri, allora potremmo realmente vivere nel passato e albergare nel mondo delle stelle e del sole. È un peccato che le scienze della necromanzia e dell’astrologia   siano andate perdute; chissà quali misteri avrebbero potuto rivelare a tal riguardo!

Se il mondo non è che un sogno, perché non potremmo coordinare la sequenza dei fenomeni cosi come la vogliamo?

Non è vero che esiste un passato: la successione è nel nostro pensiero; le cause dei fenomeni, per noi consecutive e sempre uguali, esistono ed interagiscono in modo simultaneo.”

dal volume  „Mihai Eminescu – La mia ombra e altri racconti”-Biblioteca Universale Rizzoli, traduzione di Silvia Mattesini

Multumiri lui Andrei Pavel „SfinxMagnum” pentru fractali!  😆

Grazie , Andrei Pavel „SfinxMagnum”, per le immagini !

MIHAI EMINESCU – il poeta nazionale romeno (1)

LUCIFERO

traduzione di Sauro Albisani
( Mihai Eminescu – Poesie/Poezii, Pontica 2000)

Ci fu come nelle leggende,
di celebri re discendente
una splendida figliola.

(Recita l’attore George Vraca)

Unica in mezzo ai suoi parenti,
bella come nessuna,
come la Vergine fra i santi,
fra le stelle la luna.

Dall’ombra dei vasti soffitti
s’allontana, si sporge
a una bifora: nei suoi tragitti
Lucifero la scorge.

Guarda di lassu come invade
il mar della sua luce
e lungo le liquide strade
nere chiglie conduce.

Gli occhi al cielo ogni giorno protesi,
alla voglia soggiace;
e anche lui che la fissa da mesi,
la ragazza gli piace.

Quando sopra i suoi gomiti china
come in sogno le tempie,
nel cuore la voglia s’insinua
e l’anima riempie.

Egli sembra di luce piu bella
ogni notte avvampare
quando dentro il suo tetro castello
lei nell’ombra gli appare.

Nella stanza, seguendo dappresso
la donna, s’introduce,
coi suoi gelidi strali egli tesse
una rete di luce.

E quando si stende sul letto
la ragazza, e sbadiglia,
le sfiora le mani sul petto
e le chiude le ciglia.

Un raggio lo specchio precipita
sopra il corpo supino,
sui grandi occhi che palpitano,
sul suo volto reclino.

Lei lo guarda con un sorriso,
nello specchio, che spasima,
giacche la rincorre deciso
a catturarle l’anima.

Gli parla nel sogno con rotti
sospiri profondi:
«Signore delle mie notti,
perche non vieni? Scendi!

Quaggiu! soave Lucifero, scendi,
su di un raggio precipita,
la mia casa la mia anima prendi,
rischiara la mia vita!»

Lui l’ascolta tremante,
gia piu fulgido appare,
rapido in un istante
s’inabissa nel mare;

E l’acqua dov’egli e caduto
vortica a mulinello
e dall’abisso sconosciuto
esce un giovane bello.

Poi lieve attraversa il vetro
della finestra come una soglia
e tiene nel pugno uno scettro
circondato di foglie.

Un giovane voivoda pare
dai soffici capelli,
indossa un grigio sudario
sopra le nude spalle.

Ahi l’ombra della sua effigie
e come un cereo stampo –
un morto dagli occhi vigili
che mandano un lampo.

«Fu arduo udendo il tuo appello
dalla mia sfera arrivare,
poiche padre m’e il cielo
e madre il mare.

Per giungere al tuo luogo
a guardarti dappresso
son sceso dal mio firmamento
e dal mar sono riemerso.

Oh vieni! tesoro mio solo,
abbandona ogni cosa!
io sono Lucifero in cielo,
tu sarai la mia sposa.

Lassu nel palazzo superno
vivrai per l’eternita
e tutto l’immenso oceano
a te obbedira».

«Sei bello, siccome nei sogni
un angelo puo apparire,
ma lungo la via che m’insegni
non ti potro seguire;

Straniero all’aspetto ed al volto
non han vita i tuoi raggi,
che io sono viva, e tu morto,
e il tuo sguardo mi ghiaccia».

Passa un giorno, ne passan tre,
ed ecco a notte viene
Lucifero sopra di lei
coi suoi raggi sereni.

Di lui forse, ad un tratto, nel sogno
l’assaliva il ricordo,
e il re delle onde agogna
dai profondi precordi:

«Quaggiu! soave Lucifero, scendi,
su di un raggio precipita,
la mia casa la mia anima prendi,
rischiara la mia vita!».

S’estinse dal grande dolore
com’egli in ciel l’udi
e il cielo comincia a ruotare
ove l’astro peri.

Nell’aria una fiamma rubente
il pianeta squaderna,
dal regno del caos, risplendente
un bel volto s’incarna.

Sui neri capelli ha cinto
un diadema che sembra bruciare,
avanza fluttuando sospinto
dalla fiamma solare.

Dal nero mantello gli sortono
marmoree le braccia,
avanza tristissimo, smorto,
e pallido in faccia;

Ma gli occhi grandi e magici
brillan ne’ loro spechi,
due tormenti selvaggi
chimerici e ciechi.

«Soltanto con grande dolore
io lasciai la mia sfera
poiche padre m’e il sole
e madre la sera;

Oh vieni! tesoro mio solo
abbandona ogni cosa:
io sono Lucifero in cielo,
tu sarai la mia sposa.

Oh vieni, sui biondi capelli
porro serti di stelle,
perche tu risplenda nei cieli
piu fulgida di quelle».

«Sei bello, siccome nei sogni
un demone puo apparire,
ma lungo la via che m’insegni
non ti potro seguire!

Mi bruciano tutta i tuoi sguardi,
pel tuo crudele amore
m’angoscian quegli occhi maliardi,
duole nel petto il cuore».

«Ma come vuoi ch’io scenda
e a te mi faccia uguale,
che sono un essere eterno
mentre tu sei mortale?».

«Ignoro il linguaggio eletto,
non lo so proprio dire –
Benche tu dialoghi schietto,
non ti posso capire;

Se vuoi che con fede profonda
m’innamori di te,
discendi quaggiu nel mio mondo,
mortale come me».

«Ch’io abiuri la mia eternita
per un bacio reclami,
ma noto cosi ti sara
quanto t’ami;

Rinasco percio dal peccato,
un’altra legge accolgo;
io sono all’eterno legato,
adesso me ne sciolgo».

Di nuova va via… un’altra volta.
Per amor di una fanciulla
si strappa cosi dalla volta
celeste, piu giorni.

Intanto pero Catalino,
un paggio astuto ed abile
che riempie le coppe di vino
ai commensali a tavola,

il paggio che regge il mantello
della regina, al seguito
di chi l’adotto trovatello,
ma con lo sguardo illecito,

come due peonie rosse
le gote in quel visino,
ratto ratto s’apposta
a spiar Catalina.

Si fa bella come non mai,
lei, e fiera, la bruci il fuoco!
Eh via! Catalino, ora! dai!
rischia adesso il tuo gioco.

Lei passa e, in un canto, vicino
a se la stringe sagace.
«Su, basta! Che vuoi, Catalino?
Va’ via, lasciami in pace».

«Che voglio? vorrei non trovarti
sempre sempre in ambasce,
che ridessi piu spesso, e rubarti
per una volta un bacio».

«Che sono codeste richieste?
lasciami alla mia sorte –
Per Lucifero l’celeste
sento un diolo di morte».

«L’amore per filo e per segno
io ti vorrei mostrare
a patto che tu non ti sdegni
e ti lasci guidare.

Qual tende il caciatore all’uccellino
nel bosco il laccio,
se io tendo il braccio mancino
cingimi col tuo braccio;

e fissami gli occhi se vedi
che il mio sguardo t’invita…
sollevati in punta di piedi
se ti stringo la vita;

e quando il mio volto si china,
che il tuo resti levato,
e duri cosi senza fine
quello sguardo assetato;

perche dell’amore tu imperi
adesso ogni virtu,
appena mi chino a baciarti
baciami anche tu».

Ascolta il giovinetto
offesa e incuriosita,
pudibonda e civetta
lo respinge, lo invita.

E piano gli dice: «Da bambino
t’imparai a conoscere,
e scansafatiche e birichino
noi ci potremmo intendere…

Ma un astro ha abbandonato
la quiete dell’oblio,
il cielo sconfinato
del suo marino esilio;

e abbasso le ciglia furtiva
perche le bagna il pianto
se sento flottar l’onda viva
che va a morirgli accanto;

perche sia sconfitto il mio duolo
d’ognoto amore ei brilla,
ma sempre piu su, sale in volo,
ch’io non posso seguirlo…

Coi gelidi raggi s’esterna
dal suo mondo lontano
e l’amo in eterno e in eterno
mi rimarra lontano…

E lascio che i giorni mi passino
aridi come steppe,
ma odora la notte d’un fascino
che mai prima non seppi».

«Ancora tu sei bambinella…
fuggiremo alla busca,
ch’ogni orma di noi si cancelli,
nessuno ci conosca.

Entrambi saremo prudenti
e ilari e belli
e tu scorderai i tuoi parenti
e la voglia di stelle».


Si mosse Lucifero. L’ali
gli crebbero nel cielo,
brucio millenarïe calli
in un secondo solo.

Un mondo di stelle superno,
laggiu di stelle un mondo –
sembrava un lampo eterno
la in mezzo, vagabondo.

Vedeva d’intorno dai gorghi
del caos guizzare,
come accadde ai primordi,
immense luminare;

ed ecco nascendo l’accerchiano
come un mare… e lui vola, nuota,
pensier che la voglia soverchia,
fin quando scompare nel vuoto;

che giunge ove non c’e frontiera
ne occhio che s’orienti,
e invano anche l’attimo spera
di nascere dal niente.

E il niente, ed e nondimeno
la sete che l’arde e travia,
e un abisso
simile al cieco oblio.

«Dal peso dell’orrido eterno
se m’avrai liberato,
nei secoli a te si prosterni,
Padre, tutto il creato;

ogni cosa, Signor, mi puoi chiedere
ma dammi un’altra sorte,
o tu che sei fonte dell’essere
e datore di morte;

ah questo immutabile nimbo
ritoglimi e il fuoco allo sguardo,
e dammi soltanto in cambio
un attimo d’ardore…

Nel caos, Signore, io giacqui,
rigettami nel caos…
e se dal riposo io nacqui,
ho sete di riposo».

«O tu che da fonde voragini
sorgi col mondo intero,
non chiedere segni e miraggi;
sono solo chimere;

tu dunche vorresti farti uomo,
assomigliarti a loro?
Ma quelli se muoiono a sciami,
ne nasceranno ancora.

E durano quanto nel cielo
qualche vuoto ideale –
Se l’onda incontra un avello
ecco un’altr’onda uguale;

soltanto le stelle hanno amiche,
schiavi della sorte:
senza tempo ne spazio noi neanche
conosciamo la morte.

Dal seno dell’ieri immortale
nasce l’ora che fugge,
se un sole nel cielo scompare
un altro sole sorge;

e se anche ora sembri risorto
poi la morte lo pasce,
che nata ogni cosa alla morte
morira per rinascere.

Tu solo, Iperione, tu solo
identico tramonti…
Mi chiedi – mia prima parola
– che ti faccia sapiente?

Tu vuoi che ti dia una voce
che a sentirla cantare,
si muovano i boschi e le rocce
e l’isole del mare?

Vuoi forse mostrar se si puo
esser giusto eppur fiero?
La terra in frantumi ti do
perche tu abbia il tuo impero.

Ogni sorta di navi e di barche
e legioni ti do
perche i mari e le terre tu varchi,
la morte no…

E la morte com’e che t’allieta?
Ora volgiti e intendi
verso quel roteante pianeta:
guarda cio che t’attende!».


Nel luogo assegnatogli in cielo
Iperione ritorna
e piove cosi come ieri
il suo lume d’attorno.

Ed anche la notte imbruna
poiche la luce scema;
tranquilla rispunta la luna
sulla laguna tremula

e riempie di raggi e barbagli
gl’intricati viottoli.
Nascosti dall’ombra dei tigli
stan due giovani, soli:

«Oh lascia che il capo sul seno
io t’appoggi, amore,
al raggio dell’occhio sereno
e dolce da morire;

la loro luce diaccia
getta sui miei dilemmi,
spandi l’eterna pace
sui notturni patemi.

Lenisci il mio dolore,
sopra di me rimani,
tu che sei il primo amore
e l’ultimo domani».

Dall’alto Lucifero scorge
l’ebbrezza su quelle facce;
appena il suo braccio le porge
lei gli tende le braccia…

Odorano i fiori d’argento
in dolce pioggia s’effondono,
sul capo dei piccoli amanti
dai lunghi boccoli biondi.

Ma lei tutta presa d’amore
alza gli occhi. E vede
Lucifero. Senza parole
una grazia gli chiede:

«Quaggiu! soave Lucifero, scendi,
su di un raggio precipita,
la mia casa la mia anima prendi,
rischiara la mia vita!»

E lui come un tempo s’accende
sulle vette e sui boschi,
remoti deserti movendo
di rabide burrasche;

ne piu come allora e caduto
dentro il mare dall’alto:
«Che t’importa, figura di luto,
se saro io o un altro?

Nel circolo angusto vivendo
fortuna vi governa,
mentre io nel mio mondo mi sento
gelido ed eterno».